Entre La Rosa et le Jasmin
Il concerto intende esplorare il vasto repertorio di canzoni in lingua ladina attribuibili alle comunità sefardite presenti nei grandi centri…
BIGLIETTI DISPONIBILI IN PREVENDITA CLICCANDO QUI entro e non oltre le ore 12.00 del 16 luglio p.v..
BIGLIETTI DISPONIBILI IN SEDE CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA, INVIANDO UNA MAIL A coordinamento@turchini.it CON INDICAZIONE DI NOMINATIVO, RECAPITO TELEFONICO E MAIL entro e non oltre le ore 12.00 del 16 luglio p.v..
Paola Erdas, cembalo italiano
Il concerto si inserisce quest’anno nella programmazione de “La Campania è Teatro, Danza e Musica”, progetto promosso da ARTEC/ Sistema MED in collaborazione con SCABEC – Società Campana Beni Culturali e Fondazione Campania dei Festival.
Programma
Luys Venegas de Henstrosa (1510 –1570)
Cinco diferencias sobre Conde Claros
Alonso Mudarra (1510 – 1580)
Conde Claros en doze maneras
Antonio Valente (c. 1520 – c.1601)
Gagliarda Napolitana con molte mutanze
Recercata del primo tono
Tenore del passo e mezo con sei mutanze
Sortemeplus di Filippo de Monte con alcuni fioretti d’Antonio Valente Tenore Grande alla Napolitana
Fantasia del primo tono
Lo Ballo dell’Intorcia con sette mutanze La Romanesca con cinque mutanze
Bascia Fiammingnia
Luis de Milán (XVI secolo)
Pavana IV
A.Valente
Gagliarda Lombarda – Gagliarda Lombarda con alcuni fioretti di Paola Erdas
Don Carlo Gesualdo, Principe di Venosa (1566 –1613)
Canzon Francese del Principe
Il progetto si incentra su un prezioso libro, ora in esemplare unico custodito alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli, intitolato Intavolatura de Cimbalo di Antonio Valente, pubblicato nel 1576.
L’Intavolatura è il primo libro ad avere come destinatario unico il clavicembalo (cimbalo), anziché, come normalmente accadeva, cembalo e organo o, tastiere, arpa e vihuela nell’area ispanica.
Il valore della musica contenuta nel volume è assolutamente interessante, scritta in diversi stili e sviluppata con un’intrigante armonia in bilico tra Rinascimento e Barocco, e contiene brani del più puro stile intellettuale come i Ricercari e le Canzoni diminuite ma anche musica decisamente “pop” come le danze con variazioni.
Il libro è un unicum anche per la sua particolare scrittura: Valente, nonostante la sua dichiarata cecità (si trattava probabilmente di un alto grado di ipovedenza) inventa una nuova scrittura, di chiara derivazione spagnola, ancora più complicata ma al contempo decisamente più precisa.
Un concerto che mostra il favoloso ambiente della Napoli del Cinquecento, in un inizio di Barocco che ancora profuma di Rinascimento.
#VIAGGIANDOCONPAOLINA, il video dedicato a Valente, girato in occasione della registrazione del CD, regia di Luca Marconato: https://www.youtube.com/watch?v=uC5gBSi54nU
CD HITASURA records – uscita Giugno – Agosto 2020.
www.paolaerdas.it
Note di sala a cura di Paola De Simone
La notazione a cifratura numerica e l’ampio ventaglio degli spunti del canto fermo dal gregoriano alla danza, la peculiarità di uno stile toccatistico “affettuoso”, il gusto fiorito per le diminuzioni o per le canzoni francesi alla moda, per la tecnica della variazione fra partite e mutanze o, ancora, l’ampliamento del quadro tonale e il conseguente rilievo a un cromatismo fondamentale per le più avanzate istanze espressive a segno e al vertice, come poi notoriamente scolpito, nei madrigali gesualdiani. Vale a dire, una rosa di scelte tecniche, armoniche e in senso lato musicali alle cui radici, e al centro, si pone in misura identitaria sorprendente l’arte tastieristica napoletana fiorita fra il Cinque e il Seicento, mostrando un’originalissima convergenza di elementi tardo-rinascimentali e di tendenze apertamente barocche, matrici iberiche del Siglo de Oro senz’altro assimilate tramite lo spagnolo in Italia Diego Ortiz ma, si badi, alla luce di modelli già fortemente riconoscibili – stando alla riscoperta alimentata dagli studi più recenti – come prettamente partenopei.
Per quanto i non facili confini del fenomeno siano a tutt’oggi materia di ulteriori definizioni e indagini, esiste infatti un fulcro ineludibile tutto napoletano, punto di partenza e di riferimento conservato nella città del Golfo, in esemplare unico, alla Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III”. Quel riferimento, archiviato su bobina di microfilm alla Cini di Venezia, quindi proposto in edizione moderna nel 1973 per la Clarendon di Oxford da Charles Jacobs, unitamente alla trascrizione di alcune fonti vocali, unico inoltre quanto a specificità dello strumento destinatario, è la pubblicazione dell’Intavolatura de cimbalo del compositore e organista cieco (stando a quanto esposto in apertura della stessa opera) Antonio Valente. Un lavoro uscito appunto a Napoli nell’anno 1576 per i tipi di Giuseppe Cacchio dall’Aquila e con lo stemma dei Capece xilografato sul frontespizio, contenente Recercate, fantasie et canzoni francese desminuite, con alcuni tenori, balli et varie sorti de contraponti e ormai riconosciuto quale testimone importantissimo per osservare l’autonomia della scuola cembalo-organistica partenopea, poggiata sui nomi di Jean de Macque e relativi discepoli (Ascanio Mayone, Giovanni Maria Trabaci, forse lo stesso Gesualdo da Venosa), Scipione Dentice, rispetto a quanto registrato in parallelo nell’Italia centro-settentrionale o, all’estero, in Francia e Inghilterra.
Intorno a tale raccolta nasce appunto il progetto concertistico e discografico proposto dal programma in ascolto. Sull’autore, in verità, ancora restano diverse nubi, compresi i termini cronologico-biografici e molte altre notizie. Come accennato, dall’Avvertimento ai lettori scritto dal padre domenicano Alberto Mazza per introdurre il primo libro d’Intavolatura del Valente, si evince che il musicista era “cieco da i soi teneri anni della pueritia” mentre, dal terzo volume del Trattato “Della prattica musicale vocale, et strumentale” di Scipione Cerreto, edito a Napoli nel 1601, Antonio Valente è annoverato in elenco fra gli illustri nomi dei “Musici Napolitani, e Compatrioti, che sono stati in questa Città di Napoli dall’anno 1500, infino al dì d’oggi”, all’ottavo posto fra i dieci “Sonatori eccellenti d’Organo, della Città di Napoli, che oggi non vivono”, aggiungendovi la specifica “per antichità Napolitano”. Come a dire, nato fuori dalle mura della città, probabilmente nell’area di S. Maria a Cancello secondo la pista di alcuni documenti rintracciati di recente. Dal testo del Mazza si evincono inoltre il suo impegno in qualità di didatta e l’incarico di organista presso la chiesa di S. Angelo a Nilo fra gli anni 1565-1567. In compenso, ad attestarne l’arte, restano la citata Intavolatura e una seconda raccolta (Versi spirituali sopra tutte le note, con diversi Canoni spartiti per sonar negli organi, messe, vespere, et altri officii divini) di pari taglio didascalico e con pubblicazione a Napoli nel 1580. Opere di base che, unitamente al coevo Libro di ricercate a quattro voci di Rocco Rodio (Napoli, sempre Giuseppe Cacchio dall’Aquila, 1575), racchiudono i primi esempi noti a stampa specificatamente scritti per tastiera, a pizzico come il clavicembalo o l’arpicordo ma, anche, a percussione come il clavicordo, che infatti figura nelle note introduttive del testo di Antonio Valente per illustrare il sistema numerico adottato e la sua musica. Una musica strumentale ad ampio spettro e alla moda, così come i brani in ascolto estratti dall’Intavolatura efficacemente attestano in rassegna: c’è il gruppo dei veri e propri balli o delle variazioni su tenores di danza come l’insolitamente ampia Gagliarda Napolitana con molte mutanze, ossia con ben trentasei variazioni, la Gagliarda Lombarda con alcuni fioretti dell’interprete Paola Erdas e le Partite fitte di fioriture, sempre destinate a testare il virtuosismo tecnico a blocchi fra le due mani attraverso continue metamorfosi sul passamezzo (Lo Ballo dell’Intorcia con sette mutanze e La Romanesca con cinque mutanze, Tenore del passo e mezo con sei mutanze) o sulla bassadanza per breves (Bascia Fiammingia), laddove il Tenore Grande alla Napolitana accorpa, in via del tutto singolare, i bassi di passamezzo moderno, Ruggiero e Romanesca. Al gruppo delle sei “recercate” appartiene quindi la Recercata del primo tono, pagina ricca di diminuzioni e trilli per far ben figurare la “leggiadria di mano” unitamente a un peculiare impiego delle successioni esacordali con esiti cromatici propri della scrittura cembalo-organistica del Sud. Poi si va dalla terna delle canzoni francesi, cui appartiene Sortez me pleurs da Filippo di Monte con alcuni fioretti d’Antonio Valente, alla Fantasia del primo tono, pronta a unire agilità e stile severo affiancando al preludiante slancio improvvisativo il rigore di un intreccio contrappuntistico.
Completano il programma alcuni fondamentali tasselli spagnoli tratti da Luys Venegas de Henestrosa (Cinco diferencias sobre Conde Claros), compositore del Siglo de Oro al servizio del cardinale Juan Pardo de Tavera, arcivescovo di Santiago di Compostela e di Toledo; Alonso Mudarra (Conde Claros en doze maneras), canonico presso la Cattedrale di Siviglia, compositore ed esperto suonatore di vihuela con ogni probabilità giunto in Italia nel 1529 al seguito di Carlo V, innovatore sia in ambito vocale che strumentale e noto per aver scritto le prime musiche a noi giunte per chitarra a quattro corde; Luis de Milán (Pavana IV), compositore, poeta (scrisse El Cortesano lasciando un’importante ricostruzione della fastosa vita di corte di Germaine de Foix a Valencia) e anch’egli suonatore di vihuela (il primo in Europa a comporre per vihuela de mano), nato e attivo a Valencia fra gli artisti di corte del viceré Ferdinando d’Aragona, autore del primo libro di intavolature stampato in Spagna (Libro de música de vihuela de mano, intitulado El Maestro, 1535-1536, contenente 72 pezzi).
Quanto al più celebre Carlo Gesualdo da Venosa, di cui è stato ampiamente dettagliato il profilo biografico-artistico grazie all’immensa mole di documenti estratti dai maggiori archivi della Campania e della Basilicata, qui si ascolta una delle rare pagine meramente strumentali (Canzon Francese del Principe) scritta originalmente rielaborando e fondendo gli stilemi tastieristici di ascendenza ferrarese (Luzzasco Luzzaschi in primis) e del polo partenopeo (Stella, Filomarino, de Macque). Principe-musicista d’indole inquieta, ultimo discendente del ramo principale di un casato proveniente dall’antico conquistatore normanno Roberto il Guiscardo, madrigalista esemplare nella sperimentale quanto perfetta rifrazione semantica e sonora tesa in pentagramma fra ombre, durezze, invenzioni metrico-ritmiche e destrutturazioni tonali. Ai più noto, intanto, quale marito tradito e impunito che fa uccidere dai suoi servitori, nelle proprie stanze in Piazza San Domenico Maggiore e sotto il suo sguardo impassibile, la bellissima moglie Maria d’Avalos, colpevole perché amante del cugino Fabrizio Carafa.
Lo stesso Scipione Cerreto ne ebbe a riconoscere già dalla medesima linea d’orizzonte le grandi qualità, osservandone la modernità in apertura del suo Trattato: “Tutto mi par che oggi si scorga nell’Illustrissimo Signor Don Carlo Gesualdo Principe di Venosa, Nepote dell’Illustrissimo, e Reverendissimo Cardinal Alfonso Gesualdo, al presente Arcivescovo di Napoli. Oltre che questo Sonatore è raro Sonatore di molti Stromenti, del Liuto hà passato il segno, e della Compositione non è meno de gli altri Compositori eccellente, per haver lui ritrovate nove inventioni di componimenti, ornandoli di bei pensieri, e capricci, che forse danno meraviglia à tutti i Musici, e Cantori del Mondo, lasciando da parte l’altre sue rare virtù. A questo Principe – prosegue l’antico trattatista sottolineando il ruolo decisivo del suo cenacolo napoletano – di più non basta, che si diletti della Musica, ma ancora per suo gusto & intertenimento tiene in sua Corte, à sue spese, molti Compositori, Sonatori, e Cantori eccellenti, che alle volte tra me medesimo vado considerando, che se questo Signore fusse stato à tempo de gli antichi Greci […] l’avrebbono fatto una statua d’oro, non che di marmo”.
Reggio Emilia
Padova