Cantieri tra prassi esecutiva e storia
L’ambito della ricerca sulle pratiche di esecuzione in prospettiva storica rappresenta un terreno d’incontro particolarmente fecondo per le traiettorie complementari…
BIGLIETTI DISPONIBILI IN PREVENDITA CLICCANDO QUI entro e non oltre le ore 12.00 del 26 settembre.
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I Bassifondi
Leonardo Ramadori – percussioni
Simone Vallerotonda – tiorba, chitarra barocca & direzione
Il concerto si inserisce quest’anno nella programmazione de “La Campania è Teatro, Danza e Musica”, progetto promosso da ARTEC/ Sistema MED in collaborazione con SCABEC – Società Campana Beni Culturali e Fondazione Campania dei Festival.
Programma
La Esfachata de Napoles
Hieronimus Kapsperger (1580-1651)
Libro IV d’intavolatura di chitarone, Roma, 1640
Preludio – Toccata II arpeggiata -Sfessania – Passacaglia
Giovanni Paolo Foscarini (1621-1649)
Li cinque libri della chitarra spagnola, Roma, 1640
Aria di Firenze per la A e C – Tasteggiata della “la Ferretti” – Corrente
Antonio de Santa Cruz (?- XVIII sec)
Ms. Biblioteca Nacional de Madrid
Jacaras
Santiago de Murcia (1673-1739)
Codex Saldivar, Città del Messico 1730 Resumen de acompañar la parte con la guitarra
Folias gallegas – Cumbées – La Ferlana
Hieronimus Kapsperger (1580-1651)
Libro IV d’intavolatura di chitarone, Roma 1640
Colascione – Gagliarda
Gaspar Sanz (1640-1710)
Instrucción de Música sobre la guitarra española, Madrid 1674
Torneo – La cavalleria de Napoles -La esfachata de Napoles – Preludio o capricho arpeado
Santiago de Murcia (1673-1739)
Codex Saldivar, Città del Messico 1730
Tarantelas
Napoli, da sempre aperta alle mode, alle culture, alle diversità, generosa nell’accogliere, sapiente nell’influenzare, è indubbiamente tra le città più cosmopolite d’Italia. Da capitale del Regno delle due Sicilie a baluardo moderno del Sud, ha continuamente scambiato e modellato gli influssi culturali dello “straniero” forgiandoli e plasmandoli con la sua anima antica e il suo patrimonio. Come un profumo, difficile da descrivere perché diverso nelle sue componenti ad ogni naso, la sua unicità sta nella perpetua trasformazione ed elaborazione della novità, sia essa musicale che architettonica, sociale, culturale. Nel corso dei secoli tra Spagnoli, Francesi e Arabi, ha tutto assorbito e tutto miscelato e trasformato, come una grande pièce teatrale dal finale ancora aperto.
Note di Sala a cura di Paola De Simone
Un essenziale fulcro prospettico per lo sviluppo tecnico-idiomatico e per un’esatta conoscenza stilistica della letteratura per chitarra a cinque ordini durante l’articolata stagione barocca, così come suggerito dal titolo del progetto in ascolto, è senz’altro individuabile nella fondamentale opera didattica che lega idealmente il sapere musicale di uno scenario culturale multiforme qual è sempre stato quello della Napoli vicereale, al passaggio delle diverse dominazioni straniere, e un polo d’eccellenza per il genere come la Spagna. Si tratta dell’Instrucción de Música sobre la guitarra española di Gaspar Sanz, al secolo Francisco Bartolomé Sanz Celma, chitarrista, teorico, poeta, scrittore e sacerdote aragonese particolarmente attento alla spiritualità della musica. Alle spalle, una ricca famiglia che gli permette di compiere i migliori studi di musica (organo e chitarra), filosofia con laurea in teologia presso l’Università di Salamanca e viaggi con tappe in Italia (Venezia, Roma e Napoli) decisive per la sua formazione. È infatti a rimbalzo di tali esperienze che nasce un metodo fra i più rilevanti nella storia musicale spagnola, edito a Saragozza nel 1674 con dedica al blasonato allievo Don Juan (unico figlio naturale riconosciuto da Filippo IV di Spagna, nato dall’unione con l’attrice María Calderón) e primo dei tre tomi (seguirono il Libro segundo, de cifras sobre la guitarra española nel 1675 e, con pubblicazione del 1697 comprensiva dei tre, il Libro tercero de musica de cifras sobre la guitarra española) che, in blocco, hanno rappresentato una fonte pedagogica in tablatura importantissima – oltre che valida sino ai nostri giorni – per la raccolta di “istruzioni per l’uso”, di danze e melodie di stile spagnolo, italiano, francese e britannico. Tanto che, nel secolo Ventesimo, Manuel de Falla ne avrebbe utilizzato alcuni spunti tematici per la sua opera El retablo de maese Pedro (1923), Joaquín Rodrigo avrebbe parimenti attinto alcuni temi per la sua Fantasía para un gentilhombre (1954) su sollecitazione di Andrés Segovia e, ancora, Albeniz, Granados, Pujol, Peter Warlock, Paco Peña e John Williams vi avrebbero fatto riferimento.
Con i suoi novanta numeri complessivi, scritti ora in stile punteado, ossia “pizzicato”, ora in rasgueado (“strimpellato”) secondo il gusto della chitarriglia, si attraversano non solo appunti, schemi armonici e consigli tecnici ma, anche, un intero mondo di formule popolari e colte, fra pavane, passacaglie, sarabande, gagliarde, preludi, fughe, capricci, follie, canarios, jácaras, balletti e gighe, accanto a scorci in parata di danze e canzoni tradizionali, provenienti dalle “estranjeras naciones”. A evocarli, fra i testimonia più caratteristici, La Cavalleria de Nápoles con dos clarines mentre, fra le Canciones, si citano almeno La Esfachata de Napoles, La Garzona, La Coquina Francesa, La Miñona de Cataluña, La Minina de Portugal. Quanto all’aggancio partenopeo, la salda liaison si deve senz’altro al suo lungo e fecondo soggiorno nella città del Golfo, durante il quale, dopo gli importanti contatti romani avuti con Lelio Colista (giurista, scrittore, virtuoso di liuto e di chitarra) e Giacomo Carissimi, avrebbe incontrato Cristofaro Caresana, nel 1667 nominato organista della Real Cappella di Napoli. È qui, con ogni probabilità, avrebbe anche svolto mansioni di organista e di istruttore privato di chitarra per Juan José de Austria, inviato nel 1647 nella città al fine di soffocare la rivolta di Masaniello e per combattere il duca di Guisa, poi viceré incaricato nella capitale del Regno dal padre per neanche tre mesi (dal 26 gennaio al primo marzo 1648), quindi dedicatario dei citati tre volumi editi in soluzione unica nel 1697, al rientro del compositore in Spagna.
Parimenti al solco delle fonti in scrittura alfabetica sul modello forgiato nel primissimo Seicento dal Montesardo, ma stavolta entro il circuito musicale romano, rinviano i deliziosi brani estratti dal Libro IV d’intavolatura di chitarone del 1640, opera appartenente all’ultima produzione di Hieronimus Kapsperger, vissuto tra Venezia e soprattutto Roma dove, per le origini d’Oltralpe (nato da un colonnello tedesco trasferitosi nella città lagunare e da una donna veneziana), si ribattezzò da sé Giovanni Geronimo Tedesco della tiorba e fu noto, più semplicemente, come “il tedesco della tiorba” o “il nobile alemanno”. Per quanto siano ancora scarse le notizie sul suo profilo biografico e artistico, è certo che sia stato compositore ufficiale dei Barberini e della corte papale di Urbano VIII (Maffeo Barberini), nonché gran virtuoso degli strumenti della famiglia dei liuti. E fu pure amico di Athanasius Kircher, che ebbe a lodarne i meriti e a citarlo nella sua celebre opera teorica Musurgia universalis come principale promotore dell’insegnamento della tiorba in funzione solistica. Ha composto capricci, mottetti, balli, gagliarde e correnti, villanelle, arie passeggiate, pagine sacre tra cui un dramma allegorico commissionato dai gesuiti per la canonizzazione di Sant’Ignazio di Loyola, una cantata per le nozze di Taddeo Barberini con Anna Colonna, persino un trattato (Il Kapsberger della musica) e un dramma teatrale a più voci (Fetonte, 1630), perduti entrambi. Inoltre, libri d’intavolatura per chitarrone e liuto, distinguendosi per le arditezze armoniche e per l’aderenza al nuovo stile fiorentino. Nello specifico, entro la diffrazione di alfabeto ordinario e falso, ossia sporcato da brevi dissonanze in acciaccatura (ne è esempio lampante il Preludio), si segnalano la bellissima Toccata seconda arpeggiata e Sfessania, quest’ultima costruita su materiale sonoro di tradizione attinto dai balli sviluppatisi fra il Cinque e il Seicento in area campana, filtrati oltre regione anche negli spettacoli dei Comici dell’Arte, in unione alla maschera di Pulcinella, e universalmente noti nelle incisioni iconografiche del manierista Jacques Callot.
Analogamente scarse ed incerte sono le informazioni, esclusivamente ricavabili dalle prefazioni ai suoi lavori, su Giovanni Paolo Foscarini, detto “il Caliginoso” per l’appartenenza all’Accademia dei Caliginosi con lo pseudonimo “Il Furioso”, conosciuto perché così ebbe a firmare le sue pubblicazioni. Chitarrista e liutista, compositore e soprattutto teorico, probabilmente di origini marchigiane ma per lo più vissuto in varie città d’Italia e all’estero negli anni 1620-1649, termini oltre i quali non risultano ulteriori tracce. Fu al servizio di numerosi principi e mecenati di prestigio tra Parigi, Bruxelles, Venezia e Roma. E a Roma riconducono Li cinque libri della chitarra spagnola editi, al pari del Libro IV di Kapsperger, del 1640, con firma “Gio. Paolo Foscarini Accademico Caliginoso detto Il Furioso”, in data 15 settembre e con dedica al nobile francese Charles de Lorraine, duca di Guisa. In via analoga l’autore, a mo’ di summa dei precedenti suoi testi qui riconfluiti e quasi a documento di sintesi che attesta l’arco di assimilazione sulla chitarra delle tecniche del liuto, dal rasgueado al punteado, vi offre nozioni fondamentali di scrittura e prassi esecutiva chitarristica. Il Foscarini, è stato ipotizzato, sarebbe stato inoltre fra i primi ad aver introdotto l’intavolatura legata di chitarra impiegando una notazione mista di lettere alfabetiche e intavolatura legata di liuto, così come a trattare la passacaglia come tessuto di variazioni per la chitarra. Dalla Prefazione si apprende che i Libri “contengono tutte le sonate ordinarie semplici e Passeggiate con una nuova inventione di Passacalli Spagnoli e variati, Ciaccone folie, Zarabande, Arie diverse, Toccate Musicali, Balletti correnti, Volte, Gagliarde, Alemande con alcune sonate pizzicate, con il modo per sonare sopra la parte; e nel fine del libro alcune Sonate in cordatura differenti per le sue regole, per imparare a suonarle facilmente”. Obiettivo delle regole dunque, come da nota ai Lettori, “ben’ imparare à sonar la Chitara Spagnola” fra pizzicato, vibrati, picchi e repicchi, trilli, campanelle e quant’altro in rassegna nell’ampio elenco di numeri della raccolta. Un concentrato ma buon esempio dei diversi modi di suonare (botta, numero e condotta delle dita) è offerto rispettivamente dall’Aria di Firenze e dai due brani molto probabilmente derivati da originali per liuto, la Tasteggiata detta “la Ferretti” con dedica al padrone “mio colendissimo Fabritio Ferretti” e la Corrente.
Ancor più oscure sono poi le notizie su Antonio de Santa Cruz, chitarrista, vihuelista e compositore spagnolo conosciuto unicamente attraverso un prezioso manoscritto tardo seicentesco dal frontespizio riccamente decorato a inchiostro rosso e nero (con indice in coda ornato e stretto fra stemma, rose e drago) custodito presso la Biblioteca Nacional de España: il Libro donde se verán pazacalles de los ocho tonos i de los trasportados. All’interno si sfogliano 37 carte, 28 danze e variazioni su bassi ostinati in bilico fra radici folcloriche ed estrazione colta, rasgueado e punteado, fra le quali in apertura di raccolta due Jácaras, forma musicale legata alla danza e alle tradizioni comico-teatrali del Siglo de Oro (il termine deriva da jaque, “ruffiano” ma anche “scacco”), spiccatamente identitaria della cultura iberica e, in special modo, carta sonora di riconoscimento nelle terre colonizzate in America.
Chiude la rosa degli autori in programma Santiago de Murcia, compositore madrileno vissuto fra il Sei e il Settecento, maestro di chitarra della regina Maria Luisa di Savoia, prima moglie di Filippo V (notizia che ricaviamo dalla sua raccolta a stampa Resumen de acompañar la parte con la guitarra) e fra i primi a contaminare il portato musicale iberico con i ritmi delle popolazioni africane. I suoi manoscritti giunti Oltreoceano, stando al ritrovamento in tempi moderni di raccolte sia in Messico (Passacalles y obras, del 1732, e il Codex Saldivar, del 1730) che in Cile (Cifras Selectas de Guitarra, del 1722, scoperta nel settembre 2006 dal musicologo Alejandro Vera dell’Istituto di Musica della Pontificia Università Cattolica), farebbero ipotizzare l’arrivo delle copie manoscritte nel Nuovo Mondo attraverso i suoi mecenati, più che far pensare a una sua eventuale presenza nelle colonie d’America. In ogni caso, le fonti attestano l’ampia fortuna della sua musica nelle nuove aree di conquista, senz’altro in virtù dell’articolato ventaglio culturale che ne provano la speciale attenzione nel raccogliere le tracce molteplici del repertorio per chitarra di estrazione non solo iberica, ma anche italiana, francese e, come accennato, fino alle lontane radici ritmico-coreutiche delle coste occidentali dell’Africa.
I Bassifondi
Un power trio barocco! Da un’idea di Simone Vallerotonda, nasce l’ensemble “I Bassifondi” che propone la musica del XVII e XVIII secolo per liuto, arciliuto, tiorba e chitarra barocca, con l’accompagnamento del “basso continuo”. Tutti i più importanti liutisti e chitarristi dell’epoca, suonavano la loro musica “condividendola” con altri strumenti. L’esigenza di creare un comune linguaggio esecutivo e improvvisativo, spinge I Bassifondi a proporre autori meno noti del mondo degli strumenti a pizzico, ma non meno importanti, restituendoli nella loro autenticità. Una profonda ricerca delle fonti musicali, corde in budello, manuali di diminuzioni, consapevole di non raggiungere mai la Verità, spinge l’ensemble a riproporre l’antica prassi esecutiva, senza paura né soggezioni a visioni romantiche.
Il loro primo album “Alfabeto falso” ha scosso gli ascoltatori, con un repertorio per chitarra barocca ricco di stravaganze armoniche, l’alfabeto falso appunto, paragonabile al jazz moderno. Ora, con “Roma 600”, I Bassifondi esplorano gli aspetti popolari presenti nella musica romana, come specchio di quella colta.
Invitati nei più importanti festival di musica antica in Europa, USA, Sud-America, Australia, alla maniera dei liutisti e chitarristi dell’epoca, I Bassifondi viaggiano insieme attraverso il mondo, cercando sempre di godere serenamente la loro musica e la loro vita. Accanto ai festival specializzati, I Bassifondi suonano anche in clubs, pubs, condividendo la musica barocca in luoghi “non ufficiali” con gente comune… ma questa è un’altra storia!
Reggio Emilia
Padova