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Visions of Naples

Summer Festivities of Early Music - Collegium Marianum

Troja Chateau
20.00 - 22.00
Gratuito

Interpreti
Talenti Vulcanici
Margherita Pupulin, Heriberto Delgado violini
Sara Bagnati viola
Marius Malanetchi violoncello
Juan Josè Francione liuto e chitarra barocca
Marco Lo Cicero contrabbasso

Stefano Demicheli clavicembalo e direzione

Consulenza musicologica Paologiovanni Maione


Main Sponsor Talenti Vulcanici
Intesa Sanpaolo


Maggiori informazioni

Programma
Angelo Ragazzi (1680–1750)
Sonata a tre in re minore
Sonata a tre in si minore
  
Nicola Matteis (1690–1764)
Alia Fantasia
Sarabanda Amorosa
Gavotta
Scaramuccia
  
Nicola Fiorenza (1690–1764)
Sinfonia in re minore
  
Francesco Durante (1684–1755)
Concerto primo in fa minore
  
Domenico Gallo (1730–1768)
Sonata IV in sol minore
Sonata I in sol maggiore
Sonata XII “Follia”
  
Domenico Scarlatti (1685–1757)
Sonata in la maggiore K 208, Adagio e cantabile
Sonata in la maggiore K 209 , Allegro


Visions of Naples

Note al programma
Originariamente insediata con il nome di Partenope nel IX-VIII secolo a.C., una nuova città, “Neapolis”, fu fondata da coloni greci nel 470 a.C. e la città crebbe fino a diventare, in primo luogo, il luogo di villeggiatura ideale per la nobiltà e i politici durante la Repubblica e l’Impero romani e, in secondo luogo, la capitale di una serie di regni durante il Medioevo. Iniziò a fiorire musicalmente soprattutto nel XV secolo sotto i re aragonesi di Napoli. Tuttavia, la città e il suo regno – che comprendeva tutto il sud della penisola italiana, la Sicilia e la Sardegna – persero la loro indipendenza quando, a partire dal 1503, divennero uno dei tanti vicereami spagnoli, situazione che durò fino alla sconfitta delle armate napoletane da parte di Napoleone nel 1799. Una sola breve parentesi in questo duraturo dominio spagnolo, tra il 1707 e il 1734, fu la presa di Napoli da parte dell’Impero austriaco asburgico, che provocò importanti diaspore di musicisti verso il resto d’Europa in due diversi momenti: la prima nel 1707, quando, all’arrivo delle truppe austriache, i musicisti fuggirono in gran numero a Londra, e tre decenni dopo, al ritorno degli spagnoli, molti compositori ed esecutori partirono per Parigi, diffondendo così i principi stilistici dell’opera napoletana e il suo stile galante, e i precetti pedagogici dei suoi quattro conservatori attraverso la loro emulazione nella fondazione del Conservatorio di Parigi.

D’altra parte, fu alla fine del XVI e nel XVII secolo, durante l’apice del barocco spagnolo, che Napoli stabilì davvero la sua importanza musicale nella penisola italiana attraverso le sue varie istituzioni musicali, come la Cappella Reale; la cappella del Duomo e la Cappella del Tesoro del principale patrono della città, San Gennaro, un ensemble musicale separato all’interno dello stesso edificio; i quattro conservatori, originariamente orfanotrofi con forti programmi musicali; e le circa 200 chiese e monasteri, ognuno con il proprio personale musicale. E naturalmente c’era la cultura teatrale parlata tipicamente spagnola, che a Napoli si espanse rapidamente per produrre opere “serie” in idioma fiorentino (cioè italiano), e commedie in lingua napoletana, e seguendo l’esempio romano-fiorentino-veneto anche drammi e commedie per musica, meglio conosciuti oggi rispettivamente come opera seria e opera buffa. Non sorprende quindi che, quando il Teatro San Carlo fu costruito nel 1734-1737, fosse concepito per essere il più grande teatro d’opera del mondo.

Il rapido aumento demografico iniziato a Napoli alla fine del XVII secolo e la conseguente impennata nella costruzione di nuove chiese e oratori richiese a queste case di preghiera l’assunzione di personale ecclesiastico e musicale. I numerosi cantanti e strumentisti erano forniti dai Conservatori della città che offrivano un’istruzione musicale di alta qualità. A partire dal XVIII secolo, queste scuole accettarono anche non orfani e persino giovani studenti provenienti da altri “paesi” al di fuori del Regno di Napoli, a condizione che avessero una sponsorizzazione esterna per pagare le tasse scolastiche, il vitto e l’alloggio. Sotto la supervisione della Chiesa, i conservatori svilupparono un programma di studi ben organizzato che formava i giovani musicisti al canto, alla tastiera, al basso continuo, alla composizione e alla conoscenza di tutti gli strumenti di una famiglia (archi, legni, ottoni, ecc.), oltre alla loro formazione generale. In genere gli studenti iniziavano lo studio tra gli otto e i dieci anni e la formazione completa durava circa dodici anni. 

La struttura pedagogica era strettamente organizzata: il capo era il maestro di cappella, che era assistito dal vice maestro, e ogni famiglia di strumenti era insegnata da un maestro, che era assistito da diversi mastricelli, che erano studenti avanzati e più anziani che si occupavano dell’iniziazione degli studenti più giovani. Da questi quattro conservatori si diplomavano in media 150 musicisti all’anno, fornendo così personale musicale sufficiente per le numerose istituzioni religiose della città. Ma i numerosi insegnanti, che spesso ruotavano tra i quattro conservatori, crearono un approccio molto efficiente alla pedagogia della composizione attraverso i cosiddetti partimenti. Il partimento è essenzialmente, il più delle volte, una linea di basso che serve da guida per l’improvvisazione alla tastiera al fine di ottenere una composizione completa. Attraverso queste “guide”, gli studenti venivano addestrati a riconoscere in queste linee di basso i movimenti scalari, le cadenze, i punti di consonanza e dissonanza, le sospensioni, l’imitazione, ecc. In breve, esercitandosi intensamente e quotidianamente (e per 10-12 anni!) su quali armonie, melodie e ornamenti aggiungere a queste linee di basso di partimento – in modo simile a come i musicisti jazz imparano a improvvisare oggi – gli studenti imparavano a costruire una composizione musicale in modo molto più rapido rispetto alle più antiche ed elaborate regole del contrappunto, prevalenti nell’epoca barocca.

Questi giovani compositori non solo erano in grado di fornire in tempi rapidissimi la musica necessaria per la liturgia quotidiana dei vespri e della messa, per gli oratori, le processioni, ma anche per le opere comiche e serie, ma crearono anche un nuovo idioma stilistico grazie alle loro tecniche compositive innovative. Questo stile divenne noto come stile galante – equivalente allo stile rococò nelle arti visive e nell’architettura – e grazie al fatto che i Conservatori di Napoli attiravano studenti da tutta la penisola italiana, un vasto numero di compositori adottò questo nuovo stile. Grazie a due citate diaspore di musicisti napoletani, lo stile galante napoletano si diffuse in tutto il continente europeo, come una pandemia! Nel giro di pochi decenni (1710-1730) questo stile galante divenne uno stile veramente internazionale. Alla fine il nuovo Conservatorio di Parigi (creato nel 1804) adottò il metodo di insegnamento dei partimenti e lo utilizzò fino alla metà del XIX secolo. È inutile ribadire l’importanza fondamentale di questo approccio alla composizione per lo sviluppo della musica del XVIII e dell’inizio del XIX secolo.

La musica del concerto di stasera nasce da questa tradizione del Conservatorio napoletano e, anche se fino a poco tempo fa si sentiva parlare soprattutto di compositori famosi come Alessandro Scarlatti e Giovanni Battista Pergolesi, e magari di Leonardo Leo, Leonardo Vinci o Domenico Cimarosa, c’era una moltitudine di eccellenti compositori che quasi non ricordiamo e che meritano di essere riportati alla ribalta. Angelo Ragazzi (1680-1750) fu un violinista di grande talento che studiò con Gian Carlo Cailò (che insegnava tutti gli strumenti ad arco) al Conservatorio di Santa Maria di Loreto, divenne musicista della Cappella Reale di Barcellona e fu assunto a Vienna nel 1713. Il suo stile compositivo è decisamente galante, ma con alcune chiare influenze di Antonio Vivaldi e di Johann Joseph Fux (il suo “capo” a Vienna).

Appartengono alla stessa generazione i violinisti Nicola Matteis (il Giovane, fine anni 1670?-1737) – attivo a Londra e poi a Vienna – e Nicola Fiorenza (ca 1690-1764), e i tastieristi Francesco Durante (1684-1755) e Domenico Scarlatti (1685-1759). Mentre Durante fu nominato primo maestro al Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo nel 1728 e ci ha lasciato composizioni di tutti i generi, tra cui numerosi partimenti, Fiorenza insegnò strumenti ad arco a Santa Maria di Loreto dal 1743, da dove fu licenziato nel 1762 perché pare maltrattasse i suoi studenti. Della musica di Fiorenza sono rimaste soprattutto composizioni strumentali (concerti e sinfonie). Figlio talentuoso del maestro di cappella Alessandro, Domenico Scarlatti fu nominato organista della Cappella (dal padre), ma anche clavicembalista di musica da camera a corte nel 1700, ma quando la famiglia partì per Firenze nel 1702, Domenico si dimise dai suoi incarichi a Napoli. Probabilmente continuò a studiare con i tastieristi romani Pasquini e Gasparini, e divenne famoso soprattutto come compositore di oltre 550 Essercizi e Sonate per tastiera, nonostante abbia lasciato anche numerose opere, oratori, cantate e composizioni sacre. 

Un caso particolarmente interessante è quello di Domenico Gallo (1730?-1768), di cui si sa molto poco: probabilmente nacque e si formò a Venezia, ma divenne noto soprattutto in relazione a uno dei tanti “falsi” di Pergolesi. Nel 1780, infatti, il violinista Robert Bremner pubblicò una serie di dodici sonate in trio attribuite a Pergolesi e, sebbene eccellenti storici della musica inglesi del XVIII secolo come Charles Burney e John Hawkins abbiano sempre dubitato della loro paternità, le sonate sono entrate nella storia della musica come composte da Pergolesi. Anche Stravinskij utilizzò alcuni brani “pergolesiani” come ispirazione per alcune sezioni del suo Pulcinella. Ma grazie allo studio dei manoscritti e al fatto che stilisticamente le sonate non hanno nulla in comune con il linguaggio di Pergolesi – pur osservando gli ormai “internazionali” stilemi galanti della metà del XVIII secolo – i musicologi hanno infine scoperto che l’autore era Domenico Gallo.

In breve, l’esecuzione di questa sera offre sia un’esplorazione del nascente stile galante così come si sviluppò nei Conservatori napoletani, sia la sua diffusione soprattutto nella musica di compositori veneziani o attivi in città (come Londra e Vienna) in cui lo stile napoletano fu introdotto direttamente da musicisti della diaspora napoletana. È evidente che questo tipo di musica strumentale da camera si ascolta e si gusta al meglio in un ambiente colorato e “barocco” come il Castello di Troja.

Marc Vanscheeuwijck


Il concerto di stasera potrebbe essere sottotitolato “Napoli caput mundi” – la capitale del mondo. Si vuole dimostrare come lo stile musicale napoletano abbia “colonizzato il mondo” anche al di là del repertorio vocale, imponendosi grazie a stilemi facilmente riconoscibili e replicabili. Le pagine di Domenico Gallo offrono un’accattivante nota storica. Sfruttando la fama di Pergolesi, Gallo ha ingannato con successo per secoli il pubblico, compresi rinomati musicologi e persino Stravinsky, spacciandosi per un compositore napoletano. Solo recentemente è stata rivelata la vera paternità della sua musica. Questo inganno evidenzia il profondo impatto della scuola napoletana. Rinomata per la sua meticolosità artigianale, questa scuola enfatizzava la precisa trasmissione dei gesti musicali attraverso la notazione. Questa dedizione è evidente nel brano di Durante, dove i legato sono meticolosamente annotati, anche se in modo non convenzionale. I compositori napoletani non erano semplicemente artigiani meticolosi, ma anche audaci innovatori. Essi fondono magistralmente il contrappunto con armonie audaci e inaspettate, creando un paesaggio sonoro teatrale ma mai prevedibile. Angelo Ragazzi incarna perfettamente questo stile. Immaginate un viaggiatore, affascinato dalla bellezza sempre diversa di Napoli. La musica napoletana offre un viaggio simile: un caleidoscopio di emozioni dalla prima nota all’esplosione finale. Proprio come la città stessa, questa musica promette un’esperienza vibrante e incantevole come Napoli. Lunga vita a Partenope!

Stefano Demicheli

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