L'edificio custodisce le opere di importanti artisti, che ne fanno un'antologia di grande portata storica della cultura del secondo Settecento.
Ma la sua storia ha inizio negli anni settanta del XVI secolo, quando ospitava l'ospedale di Santa Maria della Vittoria eretto per volontà di Don Giovanni d'Austria, vincitore della famosa battaglia di Lepanto, al quale fu poi annesso l'ospedale di San Giacomo. Nel 1613 il complesso fu venduto dai governatori al domenicano Feliciano Zuppardo, che nel 1615 vi sistemò alcune terziarie del suo ordine. Fu così che l'anno successivo, ad opera di Papa Paolo V, nacque il convento di clausura. L'edificio subì profondi rimaneggiamenti e, oggi, della chiesa seicentesca restano soltanto le splendide acquasantiere alle estremità della navata (recentemente restaurate) con Santa Caterina e San Domenico, attribuibili alla scuola di Cosimo Fanzago. Il primo intervento architettonico risale al 1760, anno in cui Ignazio Chiaiese rifece il pavimento in cotto e maiolicato. Ma solo nel 1766 la chiesa e il monastero furono radicalmente rinnovati da Mario Gioffredo, che ricostruì il pronao che fa da quinta prospettica alla chiesa, affrescato nella volta da Vincenzo Diano con la raffigurazione della Glorificazione della Chiesa (1784). All'interno l'architetto Gioffredo collaborò con il pittore Fedele Fischetti, che dipinse nella volta la Gloria di santa Caterina, nella tribuna L'Eterno e gli evangelisti, nelle lunette sugli altari Virtù cardinali e Virtù teologali. Nell'altare maggiore, progettato dallo stesso Gioffredo, come sottolinea lo storico dell'arte Anthony Blunt, si possono leggere le tendenze classicheggianti dell'artista che si colgono in tutta la chiesa. L'edificio è a navata unica con quattro cappelle per lato e abside semicircolare. Coerente con la comparsa di questo gusto accademico è anche la scelta dei pittori ai quali vengono attribuiti i dipinti su tela che decorano gli altari. Francesco De Mura, autore del Sant'Agostino (prima cappella a destra) e della Madonna del Rosario (seconda cappella a sinistra), è qui in un momento di straordinaria felicità pittorica, sottolineata dall'uso di materie cromatiche dai toni sempre più rischiarati e preziosi anche per il contatto con pittori come Corrado Giaquinto, Luca Giordano e Paolo De Matteis. A Giacinto Diana si deve il Calvario (seconda cappella a destra), datato 1782. L'opera appartiene a una fase accademizzante, in cui l'artista fa uso di una materia cromatica calda e dorata, che sfuma in delicate tonalità pastello, impreziosite da tocchi di luce chiara e vibrante in uno scenario da arcadia demuriana. Fedele Fischetti eseguì, oltre agli affreschi, anche le tele con la Circoncisione (terza cappella a destra), La Vergine, la Maddalena e santa Caterina reggono un drappo con san Domenico Soriano e Noli me tangere (prima cappella a sinistra). In queste opere della prima maturità, che riprendono modelli iconografici e soluzioni formali di Pompeo Batoni, l'artista dimostra il tentativo di partecipare alle nuove istanze del classicismo di metà secolo. È di Andrea Malinconico la tela con lo Sposalizio mistico di santa Caterina sull'altare maggiore. Non meno importanti delle grandi opere pittoriche, sono le testimonianze dell'artigianato napoletano, ovvero di quelle arti decorative, e non più minori, delle quali si ha traccia nell'Europa intera. Di particolare valore sono i sontuosi marmi e i preziosi intarsi lignei delle gelosie. Photo GalleryCorso, Laboratorio, Masterclass: tre differenti opportunità formative
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La Fondazione di diritto privato legalmente riconosciuta con il nome di Pietà de’ Turchini dal 2010, trae origine dall’Associazione musicale costituita nel 1984 con il nome di Cappella della Pietà de’ Turchini -Centro di Musica Antica divenuta poi nel 1997 Centro di Musica Antica Pietà de’ Turchini. L’idea fondante è stata quella di dare vita ad un progetto di valorizzazione e di ricerca interdisciplinare, con un focus sullo straordinario patrimonio musicale e teatrale meridionale e soprattutto napoletano, dei secoli XVI-XVIII, indagandone i riflessi e i fortissimi legami con la coeva produzione musicale e teatrale europea.
Nei tanti anni di militanza culturale la Pietà de’ Turchini ha raccolto importanti riconoscimenti come gli ambitissimi premi dell’Associazione Nazionale Critici Musicali Franco Abbiati, di cui è stata assegnataria due volte, la prima nel 1997 per “l’intraprendente e insostituibile contributo alla riscoperta esecutiva e critico editoriale del barocco napoletano”…
«Son tornato nel pomeriggio alla chiesa dei francescani di Napoli: […] l’intero Conservatorio della Pietà, composto di centoventi fanciulli in uniforme turchina, vi assisteva. […] Questi seminari musicali che in altri tempi han formato tanti eccellenti maestri, oggi sembrano aver degenerato; ma simili istituzioni, come del resto, tutto quello che esiste, vanno soggetti a intermittenze. Verrà il giorno in cui, dopo essersi riposate, si risveglieranno come il Vesuvio loro vicino e forse con nuovo vigore…»
Charles Burney, Viaggio musicale in Italia, 1770.
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